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![]() EBREI, EMANCIPAZIONE DEGLI Lento processo di equiparazione degli ebrei della diaspora ai cittadini dei paesi ospiti. Le discriminazioni nei confronti degli ebrei scandirono la storia europea fin dal Medioevo. Quartieri ebraici cominciarono a sorgere nel XIII secolo in Germania, Spagna e Portogallo; a partire dal XVI secolo si generalizzò l'istituzione dei ghetti, aree urbane nelle quali gli ebrei venivano segregati in modo da impedirne, soprattutto nelle ore notturne, il contatto con i cristiani. Venezia inaugurò il proprio nel 1516; nel 1555 l'obbligo di dimorare in quartieri separati fu sanzionato da papa Paolo IV e ancora, nel 1566, da Pio V. All'inizio del XVIII secolo, in tutti i borghi italiani, a eccezione di Livorno, dove gli ebrei stavano guadagnando una relativa autonomia, erano presenti i ghetti: per lo più isolati, degradati, con caseggiati fatiscenti, attraversati da strade strette e buie. La Francia rivoluzionaria, che per prima aveva solennemente affermato i diritti del'uomo, procedette nel 1791 all'emancipazione delle comunità ebraiche presenti nel suo territorio. Napoleone operò per una completa equiparazione della fede ebraica alle altre professioni religiose, in modo da togliere agli ebrei ogni carattere di nazionalità distinta. Da parte ebraica tuttavia, con la convocazione di un gran sinedrio di notabili (1807) venne di fatto sanzionato il dualismo: mentre si riconoscevano validi in ogni tempo e in ogni luogo i precetti religiosi contenuti nella legge ebraica, si rimandava l'ottenimento e l'applicazione dei diritti politici alla fondazione di un futuro stato del popolo d'Israele. Fra il 1830 e il 1846, l'emancipazione degli ebrei francesi poté dirsi completata. Nei paesi di lingua tedesca, il primo atto in favore dell'attiva minoranza fu l'editto di tolleranza dell'imperatore Giuseppe II (1782), che eliminava molte restrizioni, a parte quelle di residenza. Ulteriori progressi furono compiuti sotto la dominazione napoleonica, ma solo i rivoluzionari del 1848, anticipando di un ventennio le definitive posizioni governative, proclamarono la completa emancipazione degli ebrei. In Gran Bretagna, fin dal 1685 un decreto di Giacomo II aveva liberalizzato il culto, già riammesso da Cromwell nel 1657, e similmente accadde negli Stati Uniti dopo l'approvazione della costituzione del 1790, in cui veniva solennemente affermato il principio della libertà religiosa. Diversa la condizione degli ebrei in Russia, dove cicliche persecuzioni (pogrom) e sistematiche discriminazioni si susseguirono fino al XX secolo, continuando anche sotto il regime comunista. In Italia, il movimento di idee favorevole all'emancipazione, autorevolmente rappresentato da Carlo Cattaneo, autore delle Interdizioni israelitiche (1836), si affermò nel Risorgimento. Proclamato dal Piemonte nel 1848, e regolato da un'apposita legge (1857), il principio dell'emancipazione fu fatto proprio, con l'unificazione nazionale, dal Regno d'Italia. Tutto ciò non fu tuttavia sufficiente a impedire il sorgere di un forte antisemitismo. R. Balzani ![]() L. Poliakov, Storia dell'antisemitismo (1955-1977), La Nuova Italia, Firenze 1974-1990; N. Wlinstock, Storia del sionismo, Samonà e Savelli, Roma 1968. |
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